Relazioni di violenza: come interrompere la danza?

Ci sono molti esempi di relazioni basate sulla violenza: la violenza sulle donne, lo sfruttamento, ma anche il bullismo, il mobbing, lo stalking, il nonnismo… e per tutti questi esempi esiste una vasta letteratura dove tipicamente si analizzano ruoli e responsabilità, fondamentalmente distribuiti tra chi agisce la violenza e il contesto che lo legittima o addirittura supporta. Ma queste analisi non bastano a spiegare i troppi episodi di violenza – visibili e invisibili – tessuti all’interno della società: manca una vista specifica su come funziona la relazione, che è innanzitutto una danza “circolare”. In questi casi diremmo una danza macabra, per riprendere la suggestione del poema sinfonico di Saint-Saëns e ancor prima di tanti dipinti medioevali. Ma il concetto che ci interessa affonda le sue radici nel lavoro di Gregory Bateson e della Scuola di Palo Alto. 

Danza macabra: le relazioni di violenza

La violenza è un atto di comunicazione

Per capire bene la dinamica occorre ricordare due cose: la prima è che anche la violenza è – in senso pragmatico – un atto di comunicazione. Già nel lontano 1967 gli psicologi della Scuola di Palo Alto – Watzslavick, Beavin e Jackson, sulla scorta degli studi di Gregory Bateson, avevano chiarito che l’obiettivo della comunicazione non è la trasmissione di informazione, creando una equivalenza tra comunicazione e influenzamento. E poi avevano specificato le leggi generali del comunicare, elencando assiomi che si ponevano come chiavi interpretative di ogni episodio comunicativo:

  1. Non si può non comunicare
  2. All’interno di ogni comunicazione vanno distinti due livelli: contenuto e relazione
  3. Il modo di interpretare uno scambio comunicativo, data la sua circolarità, dipende da come viene punteggiata (o ordinata) la sequenza delle comunicazioni fatte
  4. Ci sono due tipi di comunicazione: quella analogica e quella numerica (o digitale)
  5. Tutte le interazioni tra comunicanti possono essere di due tipi: simmetriche o complementari

 

Prendere sul serio gli assiomi di Palo Alto

La seconda cosa da ricordare è che tuttavia, dopo più di cinquant’anni, l’applicazione di questi assiomi ha riscosso successi e consensi soprattutto in ambiti ristretti e specialistici, come la psicoterapia sistemica o la comunicazione di marketing, venendo però ignorata o quasi in tutti gli altri contesti. C’è da interrogarsi sul perché di questo ripudio collettivo, e non mi riferisco tanto al sentire comune, che da sempre è l’ultimo a integrare i rivolgimenti culturali; ma piuttosto a quegli ambienti di analisi e studio dei fenomeni sociali di cui la violenza è parte.

L’adozione pratica di questi assiomi richiede un drastico cambio di abitudini nel nostro modo di stare al mondo, e con esso un impegno non indifferente sul piano cognitivo, energetico ed emotivo: in particolare il terzo, in cui viene richiamato il concetto di circolarità, così caro a Bateson.
Andiamo con ordine. Il secondo assioma intanto ha chiarito che attraverso la comunicazione non solo definiamo i contenuti dei rispettivi scambi, ma anche la posizione relazionale di chi sta comunicando: i nostri reciproci ruoli. A questo punto il terzo assioma dice che tutto ciò avviene attraverso un processo simultaneo e circolare, dove non c’è chi inizia e chi finisce: è qualcosa che si co-costruisce assieme, una danza relazionale, appunto, in cui si rimane incastrati.

 

Come uscire dalla circolarità della violenza?

Accettare questo presupposto ha delle implicazioni impegnative, soprattutto quando andiamo a esaminare situazioni come quelle di sopraffazione e violenza che abbiamo citato prima. Perché richiede di accettare il fatto che anche la parte oppressa e angariata ha un ruolo – sebbene involontario – nel generare il quadro complessivo, mentre nella nostra cultura comune si tende a inquadrare il tutto in termini di vittime e carnefici, di colpevoli e innocenti, di prepotenti e indifesi. In questo modo si creano i presupposti per portare il fenomeno sul piano del giudizio etico e morale, generatore di indignazione, auspici e buoni sentimenti, ma altamente inefficace nel cambiare la sostanza delle cose.

Certamente accade spesso che chi si trova dalla parte svantaggiata abbia contro di sé assetti e precedenti di tipo culturale, psicologico e sociale; e tuttavia credo che occorra sviluppare una maggiore auto-consapevolezza sul modo con cui stiamo in relazioni svantaggiose, penalizzanti e pericolose. Riconoscere i nostri schemi personali, analizzare i nostri presupposti, vagliare le nostre paure, e capire se davvero dobbiamo soggiacere rassegnati al gioco in cui ci siamo trovati a giocare,
Quello è il primo passo, a cui segue spesso un cammino in salita: ogni relazione ha un grado di inerzia, spesso qualunque tentativo di riassetto degli equilibri può generare scossoni e addirittura un peggioramento della situazione. Per questo è fondamentale anticipare i segnali e chiedere – nel caso – un supporto che ci accompagni in sicurezza al cambiamento.

Di Camillo Sperzagni

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