IL VIOLENTO DELLA PORTA ACCANTO: COMPLESSITÀ, POTERE, LIBERTÀ E FEMMINICIDI

Complessità, potere, libertà e femminicidi: uscire dal dualismo con un approccio sistemico

E’ proprio di questi giorni la straziante vicenda di Giulia Cecchettin, giovane donna, laureanda in ingegneria, rapita e brutalmente uccisa dal suo ex fidanzato. L’eco della vicenda è stato enorme, per la continuità con cui i femminicidi avvengono nel nostro paese e per le caratteristiche di questo fatto specifico, fra le quali la giovinezza della ragazza, la presunta normalità del contesto e dell’omicida. Che riflessioni possiamo fare a livello sistemico?

Femminicidi

La semantica del dualismo: perché pensarci in contrapposizione?

La prima riflessione mi viene da un bell’articolo in cui Laura Candiotto, ricercatrice in Filosofia, parla di dualismo e di negazione: per dualismo qui intendiamo la violenza originaria dell’esclusione dell’altro da sé. La contrapposizione o la negazione non ammettono sfumature e nemmeno complessità. O siamo da una parte o siamo dall’altra. Ovvero o siamo uomini o donne, i ruoli e gli stereotipi ci portano alla percezione di un confine invalicabile fra noi. In questa dimensione ciò che viene negato è proprio la relazione: c’è un uomo al centro incapace di stare davvero nella relazione, se non esprimendo comportamenti violenti. E c’è una donna che, come in questo caso, cerca di sottrarsi al dualismo, affermando se stessa come identità in una rete di relazioni e non solo nei confronti dell’uomo, marito, compagno, fidanzato, partner.

Non siamo noi e voi. Non siamo io e te. Il mondo non siamo solo noi due. E questa frase sembra un grido costante, non solo nella storia di Giulia.

 

L’insospettabile normalità: il violento non rientra nello stereotipo

La seconda riflessione me la suggerisce Anna Loretoni, docente di Filosofia Politica, e fa riferimento ad una delle più grandi filosofe del ‘900, Hanna Arendt. I femminicidi sono la conseguenza della volontà di sottrarsi al potere maschile. E – sul versante opposto – la libertà femminile è percepita come un deragliamento rispetto all’eredità storica e culturale che vorrebbe ancora affermarne la sua condizione di non autonomia.
Eppure, è la società stessa che ha portato nei fatti la presenza delle donne nel mondo del lavoro e conseguentemente il loro riconoscimento come parte sociale “alla pari”. Ovvero come parte che costituisce il sistema stesso e che è impossibile confinare. Ne esce un’immagine complessa e suggestiva dell’uomo che ferisce e che uccide:

“Il violento non è il mostro, rappresentato con gli stereotipi dei tatuaggi e delle borchie. Il violento è proprio l’insospettato e insospettabile che conduce una vita normale, colui a cui non penseremmo mai. Il marito, il fratello, il padre. Questo ci dicono le cronache e questo sembrano dirci gli addetti ai lavori, prevalentemente psicologi, che lavorano nei centri antiviolenza o nelle associazioni di maltrattanti, di coloro che da violenti decidono di intraprendere un percorso di ‘guarigione’. Da questi racconti emergono le molte identità dei violentatori, diversificate e per nulla scontate, che ci inducono a ridiscutere il nostro stesso immaginario e a farlo maturare in modo assai meno rassicurante. Su questo versante la nostra riflessione è molto arretrata e occorre invece svilupparla.”

 

Il femminicidio è “dentro” al sistema

Un uomo non è una monade ma appartiene sempre al proprio sistema, cioè al contesto relazionale e sociale in cui vive. Ciò che accade è parte di una storia che racconta il sistema nella sua parte più oscura. Ne è espressione.
Nessun femminicidio è altro da noi. E’ nel nostro sistema, quindi nelle nostre vite. Per questo dobbiamo tutti prenderci la responsabilità di attivarci, affinché il sistema stesso faccia uno scatto di apprendimento, grazie al diffondersi di una cultura del rispetto e della comprensione delle scelte degli altri.
Possiamo farlo tutti noi: in famiglia, nelle scuole, nelle aziende. Lo faccio anch’io nel mio piccolo, quando vesto il cappello di counselor, di coach, o di trainer. E tu, quale contributo puoi dare?

Di Valentina Ferrari

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