Il Problem Solving si fa con le mani

Uno studio condotto da Frederic e Gaelle Vallée-Tourangeau, della Kingstone University, indica quanto le capacità di elaborazione del pensiero nella soluzione di problemi si avvantaggiano dall’uso delle mani.
L’impiego di giochi psicologici e business game in cui le mani devono manipolare oggetti non è certo una novità. Dai sandplay alla creta, dal Lego alle attività di costruzione vere e proprie, chi lavora nel campo della formazione o nella psicoterapia ha potuto constatare direttamente e in vari modi l’effetto a volte sorprendente che si produce quando le mani entrano in gioco. Si sa anche d’altra parte che le mani sono connesse con il 70-80% della corteccia, e che addirittura il linguaggio umano si sia evoluto partendo da movimenti delle mani.

Un recente studio condotto da Frederic e Gaelle Vallée-Tourangeau, professore il primo di psicologia, e la seconda di comportamenti organizzativo presso la Kingstone University di Londra, riesce addirittura a quantificare la differenza senza mani/con mani.

Nel corso del problem solving, tendiamo naturalmente ad afferrare oggetti e a manipolarli per aumentare e trasformare la nostra capacità di pensare e di spiegare. Se il pensiero fosse semplicemente fatto “in testa”, qual è lo scopo di queste mosse?

In realtà, dicono i ricercatori, queste mosse sono parte integrante del processo di generazione dei concetti. Quando le persone riconfigurano le proprietà fisiche del loro ambiente manipolando e spostando oggetti, non stanno semplicemente rendendo più facile per loro pensare; stanno pensando. Ciò suggerisce che il pensiero è fondamentalmente relazionale: si sviluppa lungo una serie di cambiamenti fisici nell’ambiente che a volte influenzano, e a volte sono influenzati da, una serie di cambiamenti biologici nel cervello.

Per mettere alla prova questa ipotesi, è stata progettata un’attività di pensiero in condizioni di laboratorio durante le quali le persone possono interagire fisicamente con le parti del problema. L’interattività avvantaggia inevitabilmente le prestazioni. In parte questo è dovuto al fatto che i cambiamenti nell’ambiente fisico rendono più facile per le persone ricordare quali informazioni stanno prendendo in considerazione. Ma anche la modifica dinamica della configurazione del problema richiede nuove possibilità di azione o rivela nuovi modi di risolvere i problemi. Le persone sono più creative e più efficienti quando risolvono i problemi con le loro mani: pensare è un’attività incorporata in un ambiente fisico.

Recentemente i due ricercatori hanno applicato questo approccio a uno studio di creatività e intuizione. Mentre la presentazione di un problema presentato utilizzando il classico supporto di carta e matita non ha mai portato a una svolta, coloro che potevano usare artefatti fisici per costruire un modello del problema erano molto più facilitati a raggiungere qualche intuizione, a prescindere dalla differenza tra le abilità cognitive dei partecipanti.

Lo stesso approccio è stato adottato per uno studio del ragionamento statistico complesso. Ricerche precedenti avevano scoperto che, a seconda della facilità di rappresentare mentalmente le informazioni statistiche presentate, tra l’11% e il 40% delle persone riusciva a risolvere questi problemi di ragionamento usando solo carta e penna.

Presentando le stesse informazioni su un mazzo di carte che i ragionatori erano liberi di distendere e riorganizzare in qualsiasi modo, il tasso di successo per coloro che hanno sfruttato al massimo questa opportunità è balzato al 75%.

Se dunque vedete un bambino che conta usando le dita, o gente che lavora spargendo informazioni sulla scrivania e sui muri, siate rassicurati: non sono limitati nella loro capacità di pensare bene, né ostacolano la loro capacità di farlo. Invece, stanno migliorando la loro capacità di pensare. La mente non pensa come un computer, pensa con gli oggetti (inclusi i computer) e le persone lì intorno. E la nostra capacità di pensare e ragionare bene in ogni dato momento dipende tanto dalle nostre capacità cognitive quanto dalla ricchezza – o dalla scarsità – di cose materiali con cui sostenere il nostro pensiero e il nostro processo decisionale. 

 

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