“Siate strategici…ma senza cambiare nulla”: il doppio legame nei team di vertice

Chi lavora nei team di vertice conosce bene quella sensazione: ti chiedono visione, autonomia, innovazione… ma poi controllano ogni dettaglio. È frustrante, logorante, eppure spesso invisibile. Si chiama doppio legame: una contraddizione comunicativa sistemica. E non è solo un problema di comunicazione. È una trappola culturale che riguarda proprio le aziende en i leader che vogliono cambiare.

Articolo a cura di Camillo Sperzagni

il doppio legame che paralizza
il doppio legame che paralizza

“Dovete andare oltre l’operatività…come andiamo con le deadline?.”
“Prendetevi responsabilità… ma fatemi vedere tutto prima.”
“Abbiate iniziativa… ma evitate sorprese.”

Se hai un ruolo manageriale, è probabile che tu abbia sentito (o detto) frasi simili. A volte suonano ragionevoli. Ma quando si sommano, creano una trappola comunicativa: il doppio legame. Il doppio legame è una situazione in cui ricevi due messaggi contraddittori. Non puoi soddisfarli entrambi. Ma non puoi nemmeno ignorarli. 
Il concetto nasce negli anni ‘50, grazie a Gregory Bateson. Roba di settant’anni fa, eppure oggi resta più attuale che mai, soprattutto nelle aziende in transizione: nuove leadership, riorganizzazioni, tensioni tra autonomia e controllo.

 

Caso 1: “Fate strategia” (ma non senza di me)

Un direttore generale, a pochi mesi dalla pensione, chiede al suo team di manager di “prendere in mano il futuro”. Vuole protagonismo, iniziativa, visione.
Ma nel quotidiano continua a:
– controllare tutte le mail in uscita
– ridisegnare i piani già approvati
– criticare ogni tentativo di innovazione con un: “non è il momento.”

Il team riceve un segnale forte e chiaro: la strategia è benvenuta, ma solo se coincide con quella del capo. Risultato? Si torna all’operatività. È più sicura, meno frustrante, e in fondo è ciò che viene ancora premiato.

 

Caso 2: “Dobbiamo innovare” (ma servono i 12 step approvati)

Un altro classico: la direzione invoca velocità, agilità, nuove idee.
Ma ogni progetto deve:
– passare 3 comitati
– avere l’ok dell’ufficio legale
– rispettare processi che sembrano usciti da un manuale ISO del 1998

A parole: “siate agili.” Nei fatti: “seguite il protocollo”. I più motivati si logorano. Gli altri si adattano. Il cambiamento resta uno slogan da slide.

 

Una trappola con due estremi: uno di questi ha la scrivania più grande

Il doppio legame organizzativo non si vede subito.  E’ una trappola invisibile che imbriglia da un lato il dirigente, dall’altro il team. Non è una contraddizione logica: è una tensione vissuta, relazionale, implicita. Si annida nei non detti, nei segnali misti, negli sguardi che dicono più delle parole.
E soprattutto: non lascia vie di uscita chiare.
– Se ti attivi, rischi di sbagliare il tono
– Se stai fermo, vieni accusato di passività
– Se chiedi chiarimenti, sembri polemico
– Se fai finta di niente, ti allinei… ma perdi energia e fiducia

E dalla sponda opposta, il dirigente vede la sua frustrazione crescere giorno dopo giorno.

 

Chi è il dirigente che crea doppi legami (senza volerlo)?

Non è un manipolatore o una manipolatrice. È spesso un leader:

  • sotto pressione (es. uscente, accentratore, ansioso),
  • con una forte identificazione nel proprio ruolo (“senza di me non si regge”),
  • che crede che chiedere autonomia equivalga a concederla,
  • che ha costruito la propria autorevolezza sul controllo e sulla coerenza apparente.

Il paradosso emerge quando chiede una cosa (autonomia) e reagisce male quando la vede davvero.  Ma non lo riconosce, sente solo che “qualcosa non funziona nel team”.


Com’è fatto un team destinato a finire in un doppio legame?

Non serve un team disfunzionale. Spesso, al contrario, è un team:

  • composto da persone responsabili, attente, competenti
  • che ha rispetto per la leadership e ne riconosce il merito
  • abituato a “fare bene”, più che a dire la propria
  • in cui la relazione conta più del confronto.

Il risultato?

  • Quando i segnali sono ambigui, non si chiedono chiarimenti: si interpreta
  • Quando manca coerenza, si adatta il comportamento, non si sfida il contesto
  • Quando si percepisce una tensione, si lavora di più, invece di parlare di più

È il team “bravo”, educato però al silenzio strategico. E proprio per questo rischia di cronicizzare il doppio legame: non rompe mai il gioco.

Che strumenti ha un team per non restare intrappolato?

 

  1. Dare senso condiviso ai paradossi
    Nominare il doppio legame. Riconoscerlo come fenomeno sistemico, non personale.
  2. Creare alleanze laterali
    Un team che comunica e si sostiene ha più capacità di tenere insieme l’ambiguità senza subirla.
  3. Agire micro-autonomie coerenti
    Piccoli spazi di decisione che non chiedono permesso ma producono valore. Esempio: “Abbiamo sperimentato questa iniziativa. Funziona. Ve la presentiamo, anche se non era prevista.”
  4. Chiedere riconoscimento, non solo spazio
    Esempio: “Ci è stato chiesto di pensare più in grande. Possiamo avere un momento per presentare una proposta strategica, anche solo per ricevere un feedback?”

Come può il team facilitare il cambiamento “del capo”?

 

  1. Creare un contesto di feedback che non attacchi
    Non accusare, ma descrivere.
    Esempio: “Quando ci viene chiesto di prendere più iniziativa, ma le nostre proposte vengono sistematicamente corrette, si genera un blocco. Come possiamo riallineare aspettative e fiducia?”
  2. Restituire un’immagine speculare del comportamento
    Usare metafore o piccoli role play per mostrare l’effetto delle sue azioni.
    Esempio: “È come dire: ‘Sali in sella, guida tu. Ma tieni le mani sul manubrio come dico io.”
  3. Coinvolgerlo in una riflessione sul futuro
    Spostare il focus dal controllo alla legacy. Esempio: “Che tipo di squadra vorresti che il nuovo DG trovasse? Come possiamo costruirla insieme?”
  4. Usare un facilitatore esterno
    Il coach o consulente può rendere visibili le dinamiche in modo neutro, sistemico, professionale.

Il doppio legame è un pattern, non un colpevole 

Dunque il problema non è il dirigente. E nemmeno il team.
È la dinamica che si attiva quando chi partecipa non riconosce il proprio impatto comunicativo.

La cultura è fatta di segnali coerenti: il cambiamento non avviene solo quando lo si dichiara. Avviene quando i messaggi, le aspettative e le relazioni che sostengono quel cambiamento diventano coerenti tra loro. In assenza di questa coerenza, anche i team più competenti e i dirigenti più ambiziosi restano prigionieri di nodi invisibili. Il doppio legame non si risolve con più impegno, ma con più chiarezza.

 

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