Cosa si dice in giro?
Chiacchiere in piazza di inizio anno, buoni propositi e (in)sane abitudini ai tempi dell’iperconnessione
Immaginiamo di essere ancora ai tempi delle piazze. No, non le manifestazioni in piazza. Il ritrovo in piazza. Quando in centro paese o città c’erano luoghi di ritrovo per le “compagnie”, sotto la chiesa, al bar centrale, al parcheggio per le moto. Le frasi di rito quando ci si incontrava, più o meno alla solita ora, erano: “Allora, come va?” oppure il più generico: “Cosa si dice in giro?”. A quel punto, qualcuno se ne usciva con il tal racconto, il commento al fatto di cronaca locale, lo sberleffo al politico, il pettegolezzo recente. Così iniziavano le chiacchiere, magari si beveva un bicchiere di vino e il tempo trascorreva leggero. Ognuno diceva la sua.
Anche oggi ognuno dice la sua. In tempi social la domanda è cambiata in: “Cosa stai pensando?” e le chiacchiere si digitano, bevendo ognuno a casa sua. Si ride meno. Perché per ridere bisogna essere almeno in due. Altrimenti, come sulla Settimana Enigmistica, sono risate a denti stretti. Sorrisi a dir tanto. Invece, come gioco di inizio anno siamo in piazza, arrivano la Tizia e il Caio, salutano noi e il resto della comitiva e fanno la fatidica domanda: “Cosa si dice in giro?”. Proviamo a rispondere?
Chiacchiere in piazza di inizio d’anno
Beh, che finisce l’anno, per fortuna, e che ne inizia uno nuovo. Ne avessimo sentito uno dire che è andato bene. Pochi soldi, guai a non finire, lavoro così così. Meno male che se ne va. Speriamo che il 2023 sia un po’ meglio. Sono quasi 3 anni che deve andare meglio. Chi deve andare meglio? L’anno, che diamine! Che si presenti un po’ come si deve.
Che la guerra finisca perché davvero non se ne può più. Anche se poi non è che ci pensiamo così spesso. All’inizio sì, ma ora è un po’ come il mal di schiena dopo aver portato dei pesi quando non si è più giovanissimi, ce lo si tiene senza farci caso. Si dice in giro che c’è la guerra. Non ce ne curiamo. Passerà. Come il mal di schiena. Come farà a passare? Non chiediamo troppo, dai. Suvvia, passa tutto prima o poi, avete visto anche col Covid. E’ passato anche lui, no? O siete di quelli che sui mezzi mettono ancora la mascherina e che se tossiscono spostano il viso e mettono la mano davanti alla bocca. Che pesantezza. Sì, ma il caldo? L’anno più caldo di tutti i tempi. E’ riportato anche da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia. L’ho letto su Focus. No, però, non cominciamo a fare citazioni che non sono proprio da piazza, suvvia…
Meno male che fa caldo, così non ci spennano con l’energia. Quanto pagate voi? Di quanto è aumentata? Che poi alla fine non tutti i mali vengono per nuocere. Il pianeta è più caldo, ma almeno risparmiamo sul gas. Secondo me pagate tantissimo, a me non l’hanno mica così aumentata. Va beh, state in maniche corte in casa. E’ centralizzato? In montagna avete il camino che scalda molto di più. Andate a fare Capodanno là. Staccare fa sempre bene. Ma sai che è vero? Quest’anno sento un sacco di gente stanca. Stanca di cosa? Chi del lavoro, chi della famiglia, chi della situazione in generale.
Il tempo dell’iperconnessione
Cosa vuoi che si dica in giro? Non c’è mai tempo per fare quello che si vuole. Per la verità a volte non si ha tempo neanche per lavorare con tranquillità. E’ tutto di corsa e non finisce mai. Non si stacca mai. O sei davanti al computer o sei in auto o sei al telefono. Lo chiamano il tempo della iperconnessione. Questi sono i tuoi amici intellettualoidi che non fanno che trovare parole difficili alle cose che si possono dire molto più facilmente. Non ci fermiamo mai. Siamo sempre raggiungibili e non finiamo mai niente. Com’è possibile non finire mai niente? O meglio cosa lo rende possibile? L’iperconnessione? E dai ancora con i paroloni…Si dice in giro che ne abbiamo tutti le scatole piene. Non smettiamo mai, siamo sempre collegati. Figurati che anche io ho scritto delle mail il giorno di Natale per portarmi avanti col lavoro. E qualcuno mi ha pure risposto. Vedete? Sempre attaccati.
Si dice in giro così? Siamo sempre attaccati e non riusciamo a staccare? Cosa può aiutarci a farlo? Lasciamo i nostri Tizia e Caio in piazza a cercare una soluzione o forse semplicemente a lamentarsi l’una con l’altro per sentirsi meno soli nell’iperconnessione.
Abbiamo perso la capacità di oziare, e di riposare davvero
Proviamo a riflettere su questo bisogno di essere sempre presenti e “sul pezzo”. Cosa ci impedisce di non rispondere ad una telefonata? Cosa fa sì che anche in un momento dell’anno in cui possiamo rallentare il ritmo, ci riesca difficile rilassarci davvero?
Abbiamo perso la capacità di oziare. Divorati dall’operosità a tutti i costi, anche lo svago finisce con l’assoggettarsi a regole quasi lavorative. Se lo svago diventa un lavoro e perde la dimensione di smarrimento che lo caratterizza, a quel punto può essere interrotto. Da qualsiasi altra attività che avrà sicuramente un’importanza maggiore perché remunerata o legata agli affetti. Ecco che in un istante siamo di nuovo connessi. Agli impegni, alle responsabilità.
Cosa si dice in giro? Che siamo stanchi o stressati, ma soprattutto incapaci di riposare davvero. Se ne stanno accorgendo anche Tizia e Caio che sono ancora in piazza con un bicchiere di vino bianco in mano.
E poi spunta lui: il Flanella
Non riusciamo a staccare davvero, ma c’è qualcuno che riesce a farlo?
Tizia e Caio, con gli amici sono ad un vicolo cieco. Stanno quasi per cambiare argomento. Caio stava giusto per dire: “D’altra parte è così”. Quando ecco che spunta lui ed è in quel momento che tutti hanno una vera e propria folgorazione. Lui è Sempronio, conosciuto come “Il Flâneur”. In realtà, viene chiamato in modo un po’ più milanese ovvero il Flanella, ma si sa che il dialetto milanese ha recepito alcune espressioni proprio dai francesi e naturalmente a Sempronio piace di più il suo nomignolo nella versione chic.
“Cosa si dice in giro?” lo dice senza impegno il flâneur. Come se fosse un modo di salutare. Non si aspetta nemmeno una risposta, sta guardando un paio di ragazze che ridono dall’altra parte della piazza. Alza gli occhi verso il campanile e svagato annuncia il suo ingresso al bar per prendersi da bere. Non ha alcuna fretta lui. Li lascia lì senza parole per i minuti che gli servono per un bicchiere di vino bianco ed esce nel silenzio. “Allora?”. Lo butta lì, così, poi si accorge che al tavolo a destra c’è un gruppetto che sta ridacchiando di qualcosa o di qualcuno. “Cosa si dice in giro?”. E si rivolge a loro.
Eccolo lì, porca miseria. Guardalo, sembra dire Caio a Tizia. Lui non è mica stressato. Per forza, non attacca mai, come potrebbe staccare. No, vabbè, lascia stare questo. Pensa a come fa. Come fa a fare cosa? A perdersi, a bighellonare, a lasciare andare i pensieri, a vagare. A non avere fretta, ne urgenza. Grazie, non fa niente. Ma lascia stare questo. Perché dovrebbe essere necessario non fare niente del tutto per riuscire a non fare niente ogni tanto?
Come modellare la capacità di non fare niente?
Tizia e Caio, con il resto della banda di sempre “sul pezzo”, hanno probabilmente trovato un modello per un bell’esercizio di PNL. Un modellamento del flâneur Sempronio, o meglio della sua capacità di bighellonare come un botanico da marciapiede, nella definizione di Baudelaire.
Proviamo a rispondere all’ultima domanda. Modellare la capacità di non far niente di Sempronio ci può essere utile. Anzi, forse è diventato necessario. Molti di noi non riescono più a “perdersi” senza sentirsi quasi in colpa. Dobbiamo fare qualcosa, anche nel tempo che non dedichiamo al dovere. Il piacere allora diventa cadenzato e regolato. La passeggiata per raggiungere un alpeggio, la gita alle cantine per degustare vino, la sera del sabato per cenare con amici, il cinema per l’ultimo film appena uscito, Cyrano a teatro, la partita a paddle, il concerto. Tutto splendido. Tutto da fare. Tutto da preparare. Possiamo provare allora a lasciare andare ogni tanto il tempo senza programmare? Siamo ancora capaci di bighellonare? Perché non provarci in questo 2023 che sta arrivando? Vogliamo riappropriarci dell’ozio finalmente? Impegniamoci dunque, ma a non programmare. Che non è programmare di non programmare: questo sarebbe un paradosso all’interno del medesimo schema.
In piazza, Tizia e Caio, ci sono già ricascati e stanno cercando di prenotare il ristorante per la cena. Ci toccherà aspettare perché stasera sono pieni. Cavoli, dovevamo organizzarci prima. Il flâneur, intanto, mentre loro hanno da un pezzo rinunciato a “modellarlo” perché non conoscono la PNL, è ancora al tavolo con gli amici. Non sa ancora cosa farà stasera. Magari faccio un altro giro, dice. Appoggia il bicchiere vuoto. Si alza. E lentamente, con un sorriso tranquillo, si incammina.
Testi di Valentina Ferrari