Domande trasformatrici

Cosa rende una domanda capace di trasformare chi la riceve?

Domande trasformatrici

Quando comunichiamo, ci concentriamo spesso sulle parole da usare, sulle strategie per convincere, sulle tecniche per ottenere risposte. Ma c’è una dimensione più sottile e profonda che spesso trascuriamo: da dove nasce la nostra domanda? Questo tema è stato oggetto di riflessione da parte del nostro trainer Camillo Sperzagni in un recente webinar. Ogni domanda non può essere neutra, ma ha una radice situazionale ed emotiva: un misto di pensieri, bisogni, emozioni, aspettative. Ecco perché una domanda formulata con curiosità può aprire spazi di dialogo, una formulata con diffidenza o impazienza può irrigidire, chiudere, provocare difesa. E non è solo una questione di tono: è una questione di presenza.

Le domande che bloccano e quelle che trasformano

C’è una qualità delle domande che raramente viene considerata: il loro potere trasformativo. Alcune domande non servono semplicemente a ottenere una risposta, ma a muovere qualcosa in chi le riceve, perché cambiano il punto di vista, allargano lo sguardo, sbloccano un pensiero fermo. Sono quelle che chiamiamo domande trasformatrici.
Ma attenzione: per poter porre questo tipo di domande, non basta conoscere una formula, serve essere nel giusto stato d’animo. Serve poter uscire dal bisogno di avere ragione, dal desiderio di risposte rapide, dalla paura che l’altro dica qualcosa che non vogliamo sentire. In sintesi, uscire dalla solita dimensione dell’influenzamento per entrare in una cornice di complessità e consapevolezza.

Emozione e consapevolezza: la premessa necessaria

Prova a pensarci: se sei immerso nella rabbia, è molto probabile che tu ponga domande come:

“Perché mi tratti sempre così?”
“Chi ha sbagliato questa volta?”
“Quando la smetterai di… ?”

Sono domande che nascono da uno stato interno reattivo, che cercano conferme e che spesso portano a risposte difensive che confermano lo sfondo emotivo entro cui sono nate. In altre parole non smuovono nulla.
Le domande trasformatrici, al contrario, nascono da uno spazio più ampio, che ci slega dallo sfondo emotivo per aprirne uno nuovo. Nel caso di prima, cosa accadrebbe se ponessimo delle domande di questo tipo:

“Cosa stai cercando di proteggere, davvero?”
“C’è qualcosa che non stai vedendo?”
“Cosa ti sta più a cuore, in questo momento?”

Per poter formulare una domanda così, serve accorgersi del proprio stato emotivo, metterlo da parte (senza negarlo), e aprirsi all’ascolto vero.

 

Cinque dimensioni del cambiamento

Le domande trasformatrici non agiscono tutte allo stesso livello: alcune sono molto pratiche e immediate, altre toccano aspetti più profondi della persona.
Possiamo osservare almeno cinque dimensioni diverse su cui una domanda può operare:

A livello di comportamenti e azioni, aiutano a riflettere su ciò che si può fare concretamente. Ad esempio: “Cosa potresti fare di diverso la prossima volta?”
A livello di pensieri e percezioni, mettono in discussione le nostre letture automatiche della realtà. Ad esempio: “Che altro significato potrebbe avere ciò che è successo?”
A livello relazionale e sistemico, invitano a vedere le dinamiche tra sé e gli altri: “Che ruolo stai assumendo in questa relazione ora?”
A livello di identità e narrazione personale, ci aiutano a riflettere su chi crediamo di essere in una certa situazione: “Come ti racconteresti in questo momento?”
Infine, a livello di valori e senso profondo, ci riportano al perché più autentico: “Cosa rende tutto questo davvero importante non solo per te?”

Conoscere queste cinque dimensioni – che si intrecciano con i Livelli Logici della PNL – ci permette di porre domande più mirate e rispettose, capaci di attivare cambiamento vero, quando e se la persona è pronta a raccoglierlo.

Le domande come gesto relazionale

Ogni volta che rivolgiamo una domanda, stiamo anche dicendo: “Ti vedo” oppure invece “Ti metto sotto esame” ? Questo messaggio sotto traccia cambia tutto.
Una domanda può essere un attacco travestito, oppure un invito sincero, una trappola logica oppure un ponte relazionale. La differenza spesso non sta (solo) nelle parole, ma nell’intenzione che le anima.
Chi lavora nella relazione d’aiuto, nella leadership, nella formazione, nella mediazione, conosce bene questa sottile differenza, ma chiunque può imparare a riconoscerla e ad allenarla.

Una piccola pratica

Pensa a una conversazione recente in cui ti sei sentita o sentito molto coinvolto emotivamente, e che non ha avuto l’esito che speravi.
Qual era il tuo stato emotivo?
Qual era la risposta che realmente desideravi?
Che domanda hai posto in quel momento?
Ora chiediti: se fossi stato un po’ più libero da quell’emozione, quale altra domanda sarebbe potuta nascere?

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