La Parola desiderata: cosa rende efficace un messaggio scritto?

Quando qualcuno parla in modo inautentico o affettato l’invito che di solito gli viene rivolto è “parla come mangi“. Può sembrare strano, ma la stessa cosa non accade mai quando il discorso – invece che essere pronunciato – viene scritto. Le conseguenze di questa discriminazione vanno più lontano di quanto si possa immaginare. La scrittura, come tutte le forme di comunicazione, è anche e soprattutto uno strumento di relazione. Sul piano della pragmatica della comunicazione, un’importante differenza della scrittura rispetto all’interazione diretta sta nel fatto che l’interazione scritta prevede un feed-back di risposta da parte del destinatario del messaggio solo alla fine dell’interazione. Per cui il test di efficacia della nostra comunicazione ci arriva solo come macro-comportamento finale.

Ciò è vero soprattutto per quella scrittura variamente denominata “persuasiva”, “argomentativa”, “funzionale”.
Ad esempio messaggi pubblicitari, circolari, perorazioni, comunicati, relazioni e via dicendo. Vale a dire, tutti quei tipi di messaggi scritti che vengono esplicitamente creati per influenzare, convincere, attivare i destinatari. Se questa è l’intenzione, la strada per arrivarci non è scontata e spesso chi scrive non ha chiari gli obiettivi della sua comunicazione. Posto che ogni messaggio scritto ha almeno un destinatario, quali obiettivi ci poniamo nei suoi confronti? Vogliamo che lui ci capisca? Vogliamo che lui ci trovi chiari ed esaurienti? Vogliamo coinvolgerlo con la nostra creatività?
Se i nostri obiettivi sono questi, significa che stiamo confondendo i mezzi con i fini. Proviamo a pensare a com’è quando inviamo un messaggio a una persona di cui siamo innamorati. Se questa persona manifesta apprezzamento e condivisione per ciò che scriviamo e poi esce con qualcun altro, difficilmente proveremo una sensazione di efficacia.

L’altro punto importante da considerare è che gli obiettivi che perseguiamo con la nostra comunicazione scritta sono sempre funzionali ad altri obiettivi più generali (meta-obiettivi / finalità) che possiamo soddisfare solo se otteniamo dai lettori i comportamenti desiderati. Ad esempio, il responsabile commerciale di un’azienda che invia una circolare ai suoi capi-area avrà l’obiettivo di comunicazione di ottenere da essi una serie di comportamenti desiderati, grazie ai quali potrà realizzare il suo meta-obiettivo di presentare all’amministratore delegato un quadro soddisfacente delle vendite. Tutto questo ci consente di dare una prima definizione di scrittura efficace:
può essere definita efficace una comunicazione scritta che influenza i comportamenti dei destinatari in una percentuale statisticamente sufficiente al raggiungimento del nostro meta-obiettivo.

La parola desiderata: cosa rende efficace un messaggio scritto?

Detto in altri termini, con quali mezzi possiamo ragionevolmente sperare di ottenere i comportamenti desiderati?
Diciamo “sperare” per una serie di motivi. Il primo è di natura cibernetica: ogni lettore è un sistema non-lineare organizzativemente chiuso in cui gli stimoli innescano ma non specificano necessariamente il comportamento. Il secondo è di natura cognitiva: la nostra conoscenza del destinatario non è mai così completa da poter costruire un messaggio sufficientemente personalizzato. Il terzo è di natura contestuale: noi abbiamo un controllo che è sempre più o meno parziale sul contesto di stimoli che influenzano il destinatario. E’ quello che nella teoria della comunicazione viene definito “rumore”.

Tutti questi limiti non devono scoraggiare.
Una comunicazione scritta efficace va comunque a segno in una percentuale statisticamente rilevante, come è dimostratato dalle campagne pubblicitarie, dagli eventi mediatici, dal modo in cui viene strutturata la pubblica opinione.
Dove sta la differenza fra le case-histories di successo e il mare di carta straccia che inonda i nostri canali di comunicazione? Questo è il punto cruciale.
Diciamo che un prerequisito fondamentale di efficacia per un messaggio scritto sta nella sua capacità di motivare il destinatario nei confronti del comportamento da noi auspicato. Partendo dai presupposti neurolinguistici, possiamo affermare che il passaggio dalla comunicazione alla motivazione ha un fondamentale termine medio, che è una rappresentazione motivante. Qui il termine “rappresentazione” va inteso in senso cognitivo: una costruzione mentale dettagliata e coinvolgente di un nostro stato desiderato.
Diamo così una seconda definizione:
la scrittura efficace è tale quando riesce a fare associare piacevolmente il destinatario alla rappresentazione di un’esperienza che presuppone o include il comportamento da noi desiderato.

Come realizzare questa associazione? Qui non ci interessa mettere in luce l’aspetto di competenza linguistica o di creatività: sono argomenti già ampiamente trattati in numerosi libri, alcuni dei quali davvero ottimi. Gregory Bateson direbbe che qui ci stiamo muovendo a un livello logico più alto. Stiamo parlando di prefigurazione e desiderio: costruire un messaggio scritto efficace implica la capacità, da parte dello scrivente, di suscitare nella mente del destinatario una rappresentazione di stato desiderato che preveda il comportamento funzionale al nostro meta-obiettivo.
I contenuti di questa rappresentazione sono tali per cui:

  • Differisce dallo stato presente
  • E’ sensorialmente basata e connessa a un’esperienza desiderabile
  • Risulta in accordo con le convinzioni del destinatario e la sua ecologia
  • Viene percepita come soggettivamente raggiungibile in un numero ragionevole di passi che include il comportamento da noi desiderato
  • Persiste nella memoria del destinatario per il tempo necessario all’attuazione del comportamento desiderato
  • Questi elementi sono in realtà connessi fra loro a più livelli; siamo di fronte a un processo sistemico, non sequenziale. Il fatto di considerarli uno alla volta serve essenzialmente a specificare un modello operativo per costruire un messaggio efficace.

Ne prenderemo rapidamente in esame solo due per la loro criticità.

La parola desiderata: aspetti critici del processo rappresentazionale

Partiamo dal concetto di “sensorialmente basato” : la pratica della programmazione neurolinguistica indica che una rappresentazione positiva è tanto più motivante quanto più è –almeno virtualmente- realistica, cioè ricca di referenti associati a tutti i nostri sensi: visivo, auditivo, cinestesico, olfattivo, gustativo. E’ indispensabile su questo punto una precisazione importante. Tutto ciò non significa che il nostro messaggio scritto debba essere concreto, ricco di dettagli, esaustivo.
E’ anzi vero il contrario.
La rappresentazione deve essere ricca e vivida non in ciò che scriviamo, ma nella mente del destinatario. Se ci dilunghiamo in particolari e precisazioni otterremo due effetti sgraditi: il primo sarà quello di evocare nel destinatario non la sua esperienza, ma la nostra. Il secondo sarà quello di attivare le sue facoltà critiche e analitiche che lo porteranno immancabilmente a dissociarsi rispetto a ciò che gli viene proposto. La via da seguire è dunque quella del minimo indispensabile, come dimostra la fulminea efficacia degli slogan, degli aforismi, degli haiku. Un messaggio non esplicativo ma evocativo, non precisato ma induttivo. Qualcosa come il linguaggio ipnotico di Milton Erickson. Per indurre la rappresentazione motivante le tecniche di scrittura sono diverse. Oltre all’uso di predicati riferiti ai diversi canali sensoriali (vedrai…ti dirai… avrai la sensazione di…) si possono introdurre figure retoriche (ad es. la sinestesia), ancoraggi verbali, metafore. In ogni caso l’identità percepita di chi scrive e un’efficace strategia di rispecchiamento-ricalco sono elementi di cornice molto importanti.

La parola desiderata: memorizzazione e ridondanza

L’altro elemento critico è quello della memorizzazione. Chi si occupa di pubblicità o propaganda sa bene quanto sia difficile far sì che il suo messaggio “entri” nella mente del destinatario e vi agisca per il tempo sufficiente a fornire l’output del comportamento desiderato.
Qui i fattori cruciali sono tre:

  • la capacità di emergere dal rumore contestuale
  • la corrispondenza col complesso identità/bisogni/motivazioni del destinatario
  • la ridondanza del messaggio.

Sul primo fattore incidono soprattutto il valore di identità di chi invia il messaggio, la capacità creativa (che rinvia comunque ad una metafora), la tempistica e la scelta dei mezzi; il secondo è di nuovo una questione di calibrazione-rispecchiamento-ricalco. Il contenuto motivazionale dell’esperienza proposta vi gioca un ruolo centrale. Il terzo è forse meno ovvio, soprattutto fuori dal contesto della comunicazione di marketing. La ridondanza del messaggio può collocarsi a livelli differenti. Il primo è di natura semiotica: il messaggio centrale può essere reiterato e rinforzato a livello contenutistico (presentandolo in differenti modi), a livello grafico-visuale, a livello stilistico, a livello relazionale (entra di nuovo in gioco l’identità di chi invia il messaggio). Un altro tipo di ridondanza consiste nel sottoporre il destinatario al messaggio più volte e sotto forme diverse nel corso del tempo. Le variazioni formali, così come le ripetizioni, rispondono al funzionamento del metaprogramma N-volte che usiamo per dare valore di realtà alle nostre esperienze. E quindi per dare valore di realtà alla rappresentazione cui vogliamo associare il nostro destinatario.

La parola desiderata: saper scrivere serve a qualcosa?

Il modello di scrittura efficace che abbiamo qui abbozzato può suscitare qualche interrogativo sull’effettiva utilità di quella che viene comunemente accettata come competenza nel linguaggio scritto. Farsi capire e gradire può essere senz’altro apprezzabile, ma non rappresenta il nocciolo della questione. Ciò che serve è un diverso tipo di competenza, meno orientata allo stile e ai contenuti ma più precisa su relazione e processo. In particolare risulta chiaro che il concetto di “comprensione” in questo nuovo contesto diventa completamente subordinato a quello di “associazione all’esperienza proposta”. In altri termini non ci interessa farci capire, ma piuttosto farci seguire.
Il nostro modello serve fra l’altro a spiegare alcuni “misteri irrisolti” della comunicazione scritta, sui quali molto si dibatte. Ad esempio, il fatto che spesso un messaggio venga gradito e ricordato con piacere ma non produca il comportamento desiderato. Ciò è dovuto al fatto che il messaggio non riesce a far compiere il salto associativo verso la rappresentazione voluta.
E’ un po’ come un docente che racconta barzellette in aula tutto il tempo: risulterà forse simpatico, ma certamente poco efficiente nel conseguire obiettivi formativi. Un’altra apparente anomalia riguarda la grande efficacia che hanno a volte certe forme di scrittura decisamente scadenti sul piano stilistico, creativo e letterario. Come abbiamo visto, non è lo stile che rende efficace il messaggio, ma la sua capacità intrinseca di associare il destinatario a rappresentazioni motivanti. Questo può accadere anche seguendo vie molto rozze, e non solo sul piano letterario…

[di Camillo Sperzagni]